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Il coraggio del sì

30-06-2020 01:00

Diocesi di Caltanissetta

omelie,

Il coraggio del sì

Il coraggio del sì Conferimento dei ministeri ai seminaristiCaltanissetta – Cattedrale, 30 giugno 2020  1.  La forza della Parola Nonostante siamo anc

Il coraggio del sì

 

Conferimento dei ministeri ai seminaristi

Caltanissetta – Cattedrale, 30 giugno 2020

 

 

1.  La forza della Parola

 

Nonostante siamo ancora in regime di pandemia, ho chiesto ai nostri Seminaristi di “smascherarsi” solo per il rito, anche perché così possiamo meglio guardarci in faccia. Questo momento è una gioia, come diceva padre Alfonso all’inizio, non solo per la comunità del Seminario ma per tutta la comunità ecclesiale della nostra Diocesi perché è il momento in cui sette Seminaristi con Fra’ Pablo avanzano di un passo, pubblicamente, nel loro cammino verso il sacerdozio ordinato. Ed è una gioia per il Vescovo, che li ha accolti in Seminario e li vede crescere giorno dopo giorno, poter conferire i vari ministeri o ammetterli all’Ordine sacro.

 

Abbiamo letto due pagine della Scrittura che io consegno a voi come punto di riferimento perché possiate tornarci spesso; ma soprattutto vi esorto, ogni anno il 30 giugno, a riprendere queste due pagine, perché in esse trovate quello che il Signore ha voluto dirvi questa sera. Non le abbiamo scelte noi queste letture, sono quelle della Chiesa che vengono oggi proclamate dappertutto.

 

Due pagine, due protagonisti: da una parte il profeta Amos, dall’altra i discepoli di Gesù. Il profeta Amos si presenta come un uomo senza paura, è un mandriano, un coltivatore che viene chiamato dal Signore proprio nell’esercizio del suo lavoro, quando a tutto pensava tranne che ricevere la chiamata da parte di Dio e il mandato di spostarsi al nord per andare ad annunciare la parola del Signore a quella società corrotta, non solo nell’istituzione regale, ma anche nell’istituzione sacerdotale. E quando viene ripreso aspramente, lui non si chiude in se stesso, ma acquista ancora più coraggio nel proclamare una Parola che non è sua, una Parola che, come ci rivela il profeta Geremia in quel libro delle sue confessioni al capitolo 20, è come un martello che frantuma la pietra, come un fuoco che ti brucia dentro e non riesci a contenerlo; e quandanche ti proponi in cuor tuo di non rispondere più a questa vocazione, dall’altra parte senti la presenza di un Dio così innamorato di te, di un Dio umiliato dinanzi alla soglia della tua anima che chiede l’elemosina del tuo Sì, da non poter resistere. Per questo il profeta Amos, a chi lo minaccia, a chi lo vuole rimandare a Tekoa, nel suo paese, risponde: “Io non sono un profeta e non sono neanche un figlio di profeta, da dietro il gregge mi prese il Signore”, cioè esercito il ministero non per professione, non per mia scelta ma per vocazione.

 

È l’uomo della Parola che non ha paura, anche se questa Parola lo inchioda, come dice San Gregorio Magno alla comunità cristiana di Roma: “Anche se questa Parola parla contro di me, non posso non annunciarla, perché parla attraverso di me”. Dunque è la forza stessa della Parola che dà forza e coraggio al porta-Parola, all’uomo di Dio, al profeta.

 

2.  La Presenza nel silenzio

 

Dall’altra parte, la pagina del Vangelo ci presenta gli Apostoli paurosi dinanzi a quella inattesa tempesta sul lago di Tiberiade: “Salvaci, svegliati, siamo perduti!”. È un grido, è il grido degli oranti dell’Antico Testamento. Basta richiamare alla mente alcuni Salmi: “Svegliati! Perché dormi? Non si addormenta, non prende sonno il custode di Israele”.

 

C’è una presenza di Dio nella barca della Chiesa, una presenza che è fatta di silenzio, ma che non è meno forte della Parola, perché il silenzio è l’altra faccia della Parola. A spingere gli Apostoli ad elevare questo disperato grido non è la preghiera o il bisogno di Dio, è la paura, il pensare che il silenzio sia icona dell’assenza di Dio.

 

Esattamente in modo opposto si comporterà Gesù sulla croce. Anche lui, dice l’evangelista Marco, innalza al cielo un alto e inarticolato grido, un urlo: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e il cielo risponde con il silenzio, però in quel silenzio Gesù non coglie l’assenza ma la presenza premurosa del custode di Israele, che non dorme e non prende sonno. Per questo al grido fa seguire la consegna: china il capo in un fiat di fiduciosa consegna e fa dono del suo spirito.

 

Quella consegna del Crocifisso diventa icona della consegna di Cristo nell’Eucaristia, che raccoglie il grido di tutta l’umanità, i perché di tutti gli uomini e le donne e si fa consegna di silenzioso amore, presenza eucaristica di Cristo e non assenza di Dio, presenza che corrobora, come è accaduto a un altro profeta, Elia. Egli, stanco di lottare in nome di Dio, stanco di remare contro corrente, sfiduciato per la fatica che la fede gli richiede, decide di abbandonarsi a se stesso. Ma ecco quel pane degli angeli che gli viene dato ed Elia riprende il cammino.

 

3.  Connessi con il Signore

 

Certo, è un cammino nel deserto il nostro, è un cammino in territorio straniero, in una società indifferente, in una società che non vuole ascoltare parole di verità. È un cammino faticoso nel lago tempestoso della storia e in questo cammino spesso possiamo essere sopraffatti dalla paura. Ma carissimi figlioli, la paura è l’icona della mancanza di fede. Una Chiesa che ha paura è una Chiesa senza fede! L’ho detto il giorno del Corpus Domini e lo dico oggi a voi, ragazzi, che con coraggio state rispondendo all’appello di Dio dicendo Sì: quando dentro il vostro cuore la paura ha il sopravvento, fate ricorso alla fede, spalancate la porta, vedrete che non c’è più nessuno e non c’è più paura.

 

Arcangelo, Andrea e Calogero vengono ammessi all’Ordine sacro, ma vengono ammessi perché connessi con il Signore. Vengono ammessi perché i loro educatori e il Vescovo hanno riconosciuto che sono connessi nella fede al Signore che ha rivolto loro il suo appello: “Vieni e seguimi”. Con loro tre anche il nostro carissimo Fra’ Pablo viene ammesso perché connesso, attraverso la Copiosa Redenzione è connesso all’essenza stessa del mistero di Dio che si dà nell’Eucaristia, che si dice nell’Eucaristia dei poveri e degli emarginati e che attende il coraggio profetico di Amos.

 

4.  Libro aperto della Divina Parola

 

Carissimi Michele e Gaetano, voi che riceverete il ministero del Lettorato, siete abilitati alla proclamazione della Parola. È la profezia che dovete riscoprire dentro di voi. La profezia non è semplicemente la capacità di proclamare la Parola di Dio, ma è il coraggio di parlare le parole di Dio, facendo in modo che la vostra vita sia un libro aperto della Divina Parola.

 

Dovete, perciò, imparare a “leggere” - legere in latino - la Parola; leggere nel senso di scorrere le parole per cogliervi la Parola che è disseminata nella trama delle parole. Voi dovete essere profeti contro corrente, col vostro comportamento, con il martirio del quotidiano, con la vostra sete di questa Parola. Innamoratevi della Parola! Lasciate cadere le devozioni, quelle banali, innamoratevi della Parola. Essa vi schiuderà scrigni sconosciuti e diventerete come lo scriba saggio, che tira fuori da quello scrigno cose antiche e cose nuove, parlerà alla vostra vita e, attraverso la vostra vita divenuta Parola, parlerà alle persone che voi incontrerete.

 

5.  Fra l’altare e l’umanità sofferente

 

Mentre Arcangelo, Andrea, Calogero e fra’ Pablo vengono ammessi all’Ordine sacro e dunque si avvicinano, passo dopo passo, al ministero del presbiterato, voi Michele e Gaetano già rappresentate per loro quattro la prima parte della Messa: la liturgia della Parola; Giuseppe e Gianluca rappresentano invece la seconda parte: l’Eucaristia, perché fanno un altro passo avanti, si avvicinano all’altare: “Salirò all’altare di Dio, al Dio che rallegra la mia giovinezza!”. Fanno un passo avanti verso l’altare del Cristo immolato e consegnato nelle braccia del Padre che nel silenzio lo accoglie e con amore lo riconsegna nell’Eucaristia. Diventano un po’ come i pontefici, trait d’union fra l’altare e l’umanità sofferente perché, in quanto accoliti, possono, avvicinandosi all’altare, servendo e distribuendo l’Eucaristia, portare Gesù Eucaristia agli ammalati. E così quel ministero dell’altare continua nell’altare della sofferenza degli uomini e delle donne, fratelli e sorelle nella comune umanità.

 

E dunque, carissimi figlioli tutti, familiari, amici dei nostri Seminaristi, carissimi presbiteri e diaconi, preghiamo per questi sette più uno che questa sera dicono il loro “sì”, perché Caltanissetta, S. Caterina, S. Cataldo, il Brasile, Sommatino, possano davvero schiudersi come fiori alla grazia di Dio e consegnarci altri giovani che abbiano il coraggio di dire “sì”.

 

Ringrazio con tutto il cuore gli educatori e la comunità del Seminario per l’offerta di questi giovani; ringrazio le famiglie di questi giovani che hanno permesso loro di intraprendere questo cammino che li porterà, se Dio vuole, al sacerdozio. Colgo l’occasione della presenza di tanti sacerdoti per esortarli a non avere paura di fare la proposta ai giovani. I giovani hanno paura, ma voi non abbiate paura di chiedere a loro il coraggio del “sì”. I giovani aspettano solo preti coraggiosi e testimoni audaci e autentici, capaci di fare loro questa proposta. E ai giovani presenti dico: se il Signore bussa alla vostra porta non lasciatelo attendere troppo.

 

Invoco su tutti voi la materna protezione di Maria Santissima, la donna del Sì, la donna del coraggio, perché vi aiuti a percorrere le strade, dalla Nazareth dell’intimità con Dio ad Ein Karem dell’incontro materno, amicale, di vite che premono dal grembo della storia. E così sia!

 

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