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L’origine e la meta

07-12-2016 23:00

Diocesi di Caltanissetta

omelie,

L’origine e la meta

L’origine e la meta Solennità dell’Immacolata ConcezioneCaltanissetta – Cattedrale, 8 dicembre 2016 1.  In cerca di una direzione ʾAyyekah è la prima

L’origine e la meta

 

Solennità dell’Immacolata Concezione

Caltanissetta – Cattedrale, 8 dicembre 2016

 

1.  In cerca di una direzione

 

ʾAyyekah è la prima domanda che Dio rivolge all'umanità: "Verso dove sei? Qual è la direzione del tuo esserci?", cioè: verso dove pensi di realizzare la tua esistenza, il tuo essere immagine di Dio secondo la sua somiglianza nella dimensione relazionale? Dio sapeva già che l'uomo aveva rotto la triplice relazione con il Creatore, con la donna e con la terra e, di conseguenza, aveva rotto la relazione con se stesso, riducendosi ad un essere smarrito, privo di bussola, incapace di trovare la direzione della sua vita. E l'uomo smarrito, senza direzione, vive di paura, non conosce il suo futuro; la paura oscura anche la sua coscienza e il suo senso di responsabilità per cui non sa più guardare in faccia l'altro da sé, non sa più guardare in faccia Dio nella storia e gli resta solo la fuga, anzi il nascondimento.

 

Ma Dio vuole che l'essere umano venga alla luce e non abbia paura perché il Creatore, il Dio che ama passeggiare con noi nel giardino della nostra esistenza, ama respirare la brezza del giorno insieme a noi, ama respirare il nostro stesso respiro perché è il suo, quello che Lui ha immesso in noi per farci diventare viventi.

 

2.  La seconda nascita

 

Ed ecco: ʾayyekah “verso dove sei?” e rinasce ora l'uomo. Ma mentre la prima nascita era immacolata, senza macchia, era puro dono di libertà e di relazionalità nell'amore, questa seconda ha già una macchia, la macchia della negazione di sé che l'uomo si porta dentro, la macchia del disconoscimento della donna, la macchia della frattura nel suo rapporto con Dio, perché ha come spezzato la fiducia e incrinato l'amore.

 

Dio, però, lo fa rinascere alla speranza e da quella domanda si arriva ad un nome: Ḩawwah, Eva, che nel primo capitolo di Genesi viene chiamata “scavata”, scavata come si scava la terra per mettervi il seme e produrre frutto; la donna viene chiamata Ḩawwah, “scavata”, perché sarà madre dei viventi. In questa seconda nascita dell'umanità, Dio non riparte più dall'uomo, ora parte dalla donna ed è a lei che il Signore affida il compito di combattere il male con la forza che viene dal suo grembo, con la tenerezza della sua maternità, con la fermezza del suo amore per l'umanità.

 

In questa seconda nascita si riparte dalla donna e Dio già vede, sogna una terza nascita dell'umanità, la sogna a partire da una donna che pensa già senza macchia, immacolata, com'era l'umanità in origine nel giardino della vita; pensa a questa Ḩawwah immacolata nella quale porre l'immacolato seme del Figlio suo. Dall'immacolata donna che è Maria nascerà l'immacolato Figlio che redimerà tutta l'umanità, tutti quelli che prima di lui e dopo di lui sono nati e sarebbero nati macchiati, feriti. Ecco, quel Figlio immacolato di donna immacolata risanerà la ferita, tornerà a passeggiare, non più in un giardino ma nelle strade polverose dell'esistenza, tornerà ad accompagnarsi ai passi stanchi, delusi, sfiduciati degli uomini e delle donne e si affiderà ancora alle donne, scavando in loro abissi di luce e di speranza. Non a caso affiderà il vangelo della vita a Maria di Magdala.

 

3.  Profeti di responsabilità

 

Noi viviamo, viviamo nel tempo della terza nascita e, pur essendo inficiati da questa frattura dell'anima, anche noi come Gesù siamo nati da quel grembo immacolato perché, immettendo nel grembo di Maria il germe del Figlio, Dio, in Lui, ha immesso tutti noi, tutta l'umanità. Noi siamo nati lì, quel giorno, da quel grembo di donna, da quella Ḩawwah, Eva restituita alla sua purezza. Ecco perché la nostra vocazione, come ci ricorda san Paolo, è “essere santi e immacolati nell'amore davanti a Dio e davanti agli uomini”. Ha due accusativi san Paolo in questa lettera agli Efesini, proprio in questo versetto del brano iniziale: agìous kai amòmous, “santi e immacolati”, ma agìos è solo Dio, quindi noi siamo Dio, perché siamo seme del seme che fu il Figlio nell'immacolato grembo dell'Immacolata Concezione che è Maria.

 

Noi siamo Dio, siamo santi come lui, siamo immacolati come il Figlio e come la Madre. Tutto il nostro sforzo nella vita, il nostro verso dove sei è, dunque, un andare all'origine, a quello che siamo per nascita, per essere Dio, santi come lui, immacolati come la Madre e come il Figlio. Potremmo, perciò, dire che in questa solennità Dio ci pone davanti la nostra origine e la nostra meta, il nostro grembo e la nostra patria, ciò da cui siamo nati e ciò che dobbiamo ogni giorno di più diventare. Ecco perché l'angelo, aprendo la storia di questa terza nascita, annuncia la gioia dicendo: "Esulta di gioia... rallegrati..." e alla gioia accompagna il superamento della paura: "Non avere paura... non temere".

 

E allora, figlioli carissimi, non dobbiamo più nasconderci, non dobbiamo più fuggire dalla responsabilità della vita, dalla bellezza della relazione ma dobbiamo ricostruirla, tesserla, farci profeti di responsabilità seminando la speranza di un futuro possibile perché siamo Dio, santi come lui e siamo chiamati a rendere l'umanità immacolata, senza macchia e la nostra relazionalità pura, fraterna. Questo è il nostro compito, questo è il nostro destino. A questo ci chiama oggi Maria.

 

4.  Schiavi d’amore

 

Quello che ci resta da fare ce lo insegnano i nostri fratelli per i quali oggi viviamo un aspetto particolare della celebrazione, ce lo ricordano Angelo, Alessandro, Massimo, Vincenzo e ce lo ricordano gli uomini e le donne di Azione Cattolica qui presenti. Ciò che ci rende Dio è cercare di camminare il futuro facendoci servi come Maria, anzi schiavi d'amore nel'obbedienza alla Parola. "Ecco - dice Maria - egò eimì e doùle tou Kyrìou, io sono la schiava del Signore", la schiava. E lo canterà anche davanti ad Elisabetta, canterà questo abbassarsi dello sguardo di Dio. Solo due volte nei vangeli troviamo il verbo: epiblepein, “guardare in basso” e tutte e due le volte è predicato di Dio perché solo lui può “guardare in basso” verso di noi. Maria canterà questo abbassarsi dello sguardo di Dio su lei, l'umiliata che è schiava d'amore.

 

Costruiamo insieme la storia facendoci schiavi d'amore, servitori di speranza nell'umanità, come Angelo, Alessandro, Massimo, Vincenzo, che io oggi ammetterò pubblicamente all'ordine del diaconato, nel celibato o nel matrimonio, ricordando che anche Gesù si è fatto schiavo, che non ha ritenuto un tesoro tutto per sé essere Dio, perché si è spogliato facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce, facendosi in tutto simile a noi, anzi schiavo dell'umanità. E così, anche la laicità più sana è una laicità chiamata a vivere il servizio nel coraggio di scomparire, senza nascondersi, senza paura, non fuggendo dalle responsabilità per richiamare la Chiesa, tutti noi ad essere sale e luce della terra, a farci lievito di vangelo in questo mondo che ha tanto bisogno di Maria e, in lei, della donna; ha bisogno di questa cavità d'amore, di questa cavità di tenerezza, di questa cavità di maternità.

 

Figlioli carissimi, ringraziamo il Signore per il dono di Maria e ringraziamo lei perché c'è perdendosi, quasi annullandosi, eppure essendo insieme a noi come Sorella, Madre, modello del nostro cammino. Sentiamoci tutti stretti nell'abbraccio di questa Madre, di questa figlia che per amore è Madre di Dio.

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