Andare oltre
VIII Anniversario dell'Ordinazione Episcopale
e dell’ingresso in Diocesi
Caltanissetta – Cattedrale, 27 settembre 2011
1. Un cammino di popolo
Carissimi fratelli nel presbiterato e nel diaconato, amatissimi seminaristi, carissime religiose, gentili autorità, figlioli tutti amati nel Signore, il Vicario Generale, nel suo saluto all'inizio della celebrazione, ha espresso non solo i sentimenti dell'intero presbiterio e del popolo di Dio, ma anche il senso e il significato di questo nostro convenire nella Chiesa Cattedrale, dove otto anni fa sono entrato e mi avete accolto come apostolo e sposo di questa Chiesa.
La Parola che il Signore ci ha consegnato, deve farci riflettere su alcuni aspetti importanti ed è una Parola che sento rivolta a me in modo speciale, così come ognuno di noi, sacerdoti, diaconi, ha una Parola che il Signore gli ha consegnato nel giorno dell'ordinazione e su quella Parola è chiamato a riflettere, a meditare, a confrontarsi ogni giorno perché è la Parola che ha fondato l'appello di Dio e il nostro libero sì nel dono d'amore a Lui, nel servizio alla Chiesa.
Sia la parola del Profeta, sia il testo del vangelo di Luca parlano di viaggio, di camminamento: si cammina, si va, si viene. E non è mai un viaggio solitario, è sempre un viaggio di comunità, di popolo. Il Profeta, nella sua visione di fede, nel cuore della sua speranza, vede che tutti i popoli si accordano, si incamminano, per andare verso il Signore, a Gerusalemme, come già secoli prima aveva intravisto il profeta Isaia. Anche lui aveva visto un fiume di popoli salire verso Sion per trovare istruzione nella Parola del Signore. Ed in questa ascensione di popoli c'è un incoraggiamento reciproco, perché chi è stanco possa essere sostenuto, chi è scoraggiato possa essere accompagnato, mentre tutti insieme si sale verso il monte dell'incontro con Dio che dispensa la sua Parola come lampada ai passi della storia di comunione dell'umanità e della storia di santità di ciascun uomo.
Anche nella visione del profeta Zaccaria ci sono popoli che vanno, anzi c'è qualcosa da far vedere: “Vedete...venite...”. Questo qualcosa che si può mostrare è l'invisibile Dio che si rende visibile in Gerusalemme, una città ancora tutta da ricostruire che faticava ad essere completata, e in un tempio che doveva essere ultimato. Eppure Dio abita lì, in mezzo a quei palazzi semidistrutti, dentro quel tempio ancora non completamente ricostruito ed adornato, perché lì c'è un popolo che ha messo il cuore e la mente nella Torah, nella Parola di Dio, che ha proclamato il suo “Amen” a lasciarsi guidare da Dio, che ha capito che non si può essere condottieri solitari neanche di cose straordinarie, perché si finirebbe soltanto per lasciare, forse, memoria individuale di sé, ma non si riuscirebbe a scrivere nelle pagine di Dio e a scrivere pagine di Dio nella storia della Chiesa e dell'umanità. Ecco perché c’è un insieme di popoli e c'è da vedere: il Signore è là.
2. Dare voce al cuore di Dio
Anche noi, dal 1844, con i sette venerati Vescovi che mi hanno preceduto, con schiere di santi sacerdoti, con un esercito di religiosi e religiose, di laici che hanno edificato la storia di questa Chiesa in compagnia di Dio, pur fra macerie e ricostruzioni, fra finitudini e incompiutezze, siamo la carovana di Dio, siamo il popolo di Dio. Cosa possiamo far vedere? Le nostre opere d'arte? Anche queste, in sé, non dicono nulla. I nostri conventi? Le nostre opere a favore dei poveri? Cosa far vedere?
Dobbiamo far vedere Dio, solo Dio, il quale ama abitare in questa città, in questa Chiesa, in questo santo presbiterio e nel nostro popolo. Non è più tempo di chiacchiere, non è più tempo di fare lezioni, è tempo di creare relazioni fondate sul Vangelo, è tempo di dare voce al cuore di Dio che parla attraverso la nostra esperienza di Lui. È tempo di dare voce al nostro cuore perché i nostri ragazzi, i nostri giovani, le nostre famiglie, mai come oggi hanno avvertito il bisogno di affettività, il desiderio di essere cercati, voluti bene. Questo noi dobbiamo dare, questo affetto, questa relazione, questa comunione, che non è fondata sulle nostre competenze e bravure umane, ma solo su quell'amore che ha il sapore della morte del nostro io.
Per questo Gesù «fece dura la sua faccia», mentre cammina risolutamente verso Gerusalemme: ha un appuntamento con il Padre e con la storia e quell'appuntamento è nel luogo alto della collina del Golgota: deve salire sul cranio di Adamo e lasciarsi conficcare nel suo cranio e lì, inchiodato al legno dell'ignominia e della maledizione, deve dire a tutti, senza più parole, ma con la sua vita, il crocifisso amore di Dio che accetta la morte.
Dio è morto per riportarci al cielo dai sepolcri dei nostri egoismi, dei nostri individualismi, delle nostre piccine visioni delle cose. Questo è l'appuntamento. Non tutti comprendono. E lui, pastore, cammina deciso e sa che quel gruppo - potremmo dire quel presbiterio di apostoli - lo seguirà. Ci saranno magari villaggi che non accoglieranno, non comprenderanno, non importa. Bisogna continuare ad amare senza mai estinguere la fiamma dell'amore, perché l'amore ama proprio quando non è amato, compreso, capito: per questo è amore.
E l'amore di Dio non implica la reciprocità. L'amore di Dio è totale gratuità: si dona consumandosi nel dono e non attende, non pretende, non aspetta frutti, né risultati. Gesù perdona, fa una deviazione, allunga il suo viaggio, ma non importa, l'appuntamento è lì, sulla collina di Gerusalemme, Egli sa che quegli stessi dodici suoi amici lo venderanno per trenta denari, fingeranno di non conoscerlo, lo rinnegheranno, lo tradiranno, lo abbandoneranno… Non importa. Gesù non si appoggia sulle loro fragilità di quel momento, ma si appoggia anche su quell'amore ardente che un giorno consumerà le loro vite perché anch'essi daranno la vita per amore del Vangelo e del Signore. Egli vede lontano, vede quello che gli altri non vedono.
3. Ritrovarsi nell’essenziale
Questo è il compito di noi pastori: andare oltre, andare oltre i villaggi della non accoglienza, oltre le non comprensioni, oltre le ricompense e le gratificazioni che hanno il sapore di sollecitazione semplicemente umana. Andare oltre perché abbiamo bisogno di acquistare la visione di Dio.
Questo vorrei dirvi, carissimi figlioli: aiutiamoci gli uni gli altri ad andare oltre, ad uscire fuori dalla palude della nostra finitudine, spezziamo la prigionia della nostra fragilità e delle nostre individualità. «Guardate a lui e sarete raggianti» e allora gli altri potranno vedere. Ci stiamo incamminando ormai verso l'apice, il punto di arrivo del nostro Biennio Biblico: sacerdoti e laici, missionari e collaboratori della Parola, saranno evangelizzatori in altri paesi, in altre parrocchie. Facciamo vedere Dio. Mostriamo a tutti la carezza del Signore nel sorriso dei nostri abbracci e della nostra capacità di perdonare e di saper sempre ricominciare. Celebreremo quest'anno anche il centenario di S. Chiara e quello di S. Angela Merici; sono tante occasioni di grazia, non dobbiamo smarrirci nelle cose da fare, dobbiamo ritrovarci nell'essenziale, perché questo cammino che noi dobbiamo fare verso il monte di Dio è innanzitutto un sentiero che dobbiamo percorrere nella profondità della nostra anima.
Solo se sappiamo attingere all'inchiostro di quel Vento di Dio che ci inabita, scriveremo parole di fuoco e l'inchiostro dello Spirito Santo sarà un inchiostro indelebile perché inciderà solchi profondi nelle anime della nostra gente.
Celebreremo verso la fine di quest'Anno Pastorale anche la Settimana Nazionale delle Comunicazioni, proprio qui a Caltanissetta. Abbiamo aperto il Seminario minore, sei ragazzi di liceo hanno detto il loro sì a lasciarsi accompagnare nel discernimento, grazie all'opera sapiente, all'unità e alla comunione di questi tre straordinari sacerdoti animatori del nostro Seminario. Abbiamo qualcosa da far vedere: una comunità. Altri tre giovani sono entrati in Teologia, sedici sacerdoti sono stati ordinati in questi otto anni e tante altre cose il Signore conosce delle opere che noi, nei giorni della nostra esistenza, abbiamo scritto grazie alla penna dello Spirito Santo.
Carissimi fratelli sacerdoti, figlioli carissimi, lasciamoci guidare da Maria Odigitria, lei, la pellegrina nell'oceano di Dio, lei, fragile vela mossa dal vento dello Spirito, possa accompagnare i nostri passi, possa aiutarci ad alzare il nostro sguardo per contemplare l'essenziale, il tutto di Dio nel nulla del suo crocifisso amore, e allora, nel giardino della nostra Chiesa, saremo capaci di abbracci, di danza e di gioia, senza mai lasciarci trattenere. Sia lodato Gesù Cristo!