Affidati alla Parola che ci è affidata
Giovedì Santo – Messa crismale
Caltanissetta – Cattedrale, 21 aprile 2011
1. In ascolto della voce del Signore
«Oggi si è compiuta questa parola che voi avete udito con le vostre orecchie». Oggi come allora siamo radunati in questa “sinagoga” che è la nostra Cattedrale per farci ancora una volta discepoli del Signore nell’ascolto della sua parola e nell’impegno ad essere di essa risposta di carità nella storia. L’anno scorso ho voluto riflettere insieme a voi sul rapporto fra il presbitero e l’Eucaristia, quest’anno vorrei soffermarmi sul rapporto fra il presbitero e la Parola di Dio.
Siamo al culmine del nostro Biennio Biblico, che ci sta vedendo attenti discepoli della Parola e sento che c’è un grande fervore intorno ad essa, quasi una riscoperta della sua centralità, la consapevolezza che tutto parte da questa Parola che ci viene rivolta. Nel profeta Geremia si dice: «Io, il Signore, quando vi ho liberato dall’Egitto e vi ho fatto entrare in questo paese, non vi ho comandato di offrire sacrifici e incenso, bensì di ascoltare la mia voce», come a dire che il senso di tutto l’Esodo, secondo il profeta, è ascoltare la voce del Signore: «Oggi, se ascoltate la mia voce, non indurite il vostro cuore». Tutto parte da questa Parola di Dio, da questa Parola che è Dio, che a noi si dà in modo efficace, ma non violenta le nostre orecchie: «Ogni mattina fa’ attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati».
“Co-ascoltatori” profeti e testimoni
Dio vorrebbe bucarci le orecchie, scavare nella conchiglia del nostro cuore, ma attende una consonanza da parte nostra alla Parola che ci rivolge, perciò, prima di essere ministri della Parola, noi ne siamo “co-ascoltatori” con la Chiesa, con l’assemblea, con i fedeli. Vedete, figlioli, ascoltando le letture, tutti noi ci siamo fatti discepoli, scolari come voi, insieme come Chiesa ci facciamo attenti ascoltatori della Parola perché essa non è rivolta soltanto a voi, ma anche a noi. Essa deve penetrare nella nostra mente, deve forgiare la nostra anima, riplasmare il nostro cuore e ci chiede un atto di fiducia.
Noi dobbiamo affidarci alla Parola che ascoltiamo, ci affidiamo ad essa perché ci fidiamo di essa che un giorno ha sconvolto la nostra esistenza, ci ha sradicato dai nostri progetti e ci ha proiettato nell’orizzonte di Dio spogli di ogni presunzione e di ogni nostra volontà per vivere la “pasqua della volontà”: «Non la mia, ma la tua volontà sia fatta», per celebrare questa consegna.
Affidati alla Parola, ci affidiamo alla volontà del Padre e per questo anche noi presbiteri rispondiamo, con il responsorio, alla Parola ascoltata, perché quella Parola è rivolta anche a noi e noi vogliamo vivere la consonanza con essa facendoci di essa eco, in una umana, corale ecclesiale risposta al Padre che questa Parola ci ha donato. E poi ci mettiamo in ascolto della parola dell’Apostolo e infine, in piedi come voi, nell’atteggiamento di risorti, ascoltiamo il testo del vangelo, segnandoci tre volte con la croce perché la Parola trafigga la nostra intelligenza e ci dia l’intelligenza dello Spirito; perché la Parola sia come miele sulle nostre labbra e ci dia il coraggio di essere profeti e testimoni di essa, affinché essa possa arrivare fino al cuore.
La croce nel cuore
Non saltate l’ultimo segno di croce! La Parola, infatti, non parla solo alla scienza della nostra mente, ma anche alla conoscenza del nostro cuore perché, come dicevano i Padri, “la conoscenza di Dio si ha per via d’amore” e non si ama solo con la testa, si ama col cuore. Per questo ci segniamo tre volte, a partire dalla mente che deve accogliere e capire come lampada che arde dell’intelligenza credente e poi la croce nel cuore perché esso sia trafitto dalla spada della Parola e noi possiamo convertirci, lasciarci davvero sconvolgere per essere poi un canto di gioia, un salmo di lode e, come Chiesa, ognuno di noi sia una corda nell’arpa di Dio che lo Spirito Santo suona a gloria del Signore. E tutto questo in piedi, da risorti, perché Cristo è risorto e noi «quello che abbiamo udito, quello che i nostri occhi hanno contemplato, quello che le nostre mani hanno toccato – questa Parola “carnale” dobbiamo toccarla e la possiamo toccare nella misura in cui ci affidiamo ad essa e ci lasciamo da essa intaccare l’anima – questa Parola noi annunciamo a voi».
Inchiodati alla Parola
Allora l’omelia non è una ostentazione di scienza, ma è toccare il cuore della Parola per poter parlare con il cuore. Il prete si lascia toccare il cuore dalla Parola perché, nell’intelligenza credente, possa parlare con il cuore e divenire epifania, svelamento, apocalisse della Parola, che deve conoscere, studiare, davanti alla quale si deve inginocchiare e che poi deve comunicare, trasmettere, consegnare da testimone, prima ancora che da maestro. L’omelia è così il momento più alto in cui noi preti siamo crocifissi. Diceva Gregorio Magno: «Parlerò! Che la Parola di Dio parli attraverso di me, sia pure contro di me!», perché quella Parola che io annuncio mi crocifigge e mi inchioda alle mie responsabilità, mi inchioda alla mia conversione. E come allora Gesù ha preso la Parola del rotolo di Isaia e, commentandola, ha detto”Oggi si compie …”, così la stessa Parola affidata a noi ci trasforma in altri Gesù nella sinagoga della nostra comunità, delle nostre chiese e noi dobbiamo saper dire: “Oggi si compie …” perché il Verbo si fa carne nella mia carne di prete, perché lo Spirito si fa voce nella mia debole voce de prete, perché il Padre si fa tenerezza nella mia misericordia di prete, misericordia che sperimento innanzitutto sulla mia carne e che trasmetto agli altri nell’epifania della mia carità pastorale.
Dopo l’omelia c’è il silenzio. L’assemblea si ferma in silenzio e anche il sacerdote, perché la Parola possa adagiarsi come rugiada sui fragili fili d’erba dell’anima, perché possa risuonare in ciascuno e ciascuno divenga risposta viva ad essa. Dopo possiamo trasformarci in preghiera dei fedeli e consegnarci, nella presentazione dei doni, a Dio Padre insieme al pane e al vino, perché Egli ci trasformi ancora una volta nel Figlio suo.
Miei amatissimi fratelli sacerdoti, carissimi figlioli, riscopriamo l’importanza di questo rapporto personale e comunitario con la Parola di Dio. Non abbiate paura se la Parola di Dio vi ferisce, essa crea cicatrici di guarigione e chi non porta nella sua carne le cicatrici della Parola non si rigenererà mai e porterà in giro solo il cadavere della sua umanità. Da risorti ascoltiamo il vangelo, da testimoni noi lo annunciamo perché, per essere discepoli della Parola, occorre che noi crediamo alla Parola e alla forza di essa, che parla attraverso di noi ed è efficace anche nonostante noi.
Ma ringraziamo il Signore perché ha scelto noi per essere con voi discepoli, per voi ministri della Parola. E vorrei esortare tutti voi, giovani qui presenti, a non aver paura di leggere ogni giorno una pagina delle Scritture, a non aver paura se la Parola vi chiama a responsabilità grandi, vi chiama ad essere suoi servitori nel ministero sacerdotale. C’è bisogno di voi, c’è bisogno di tanti giovani che si lascino afferrare il cuore dalla Parola e, come noi, nonostante le nostre debolezze, abbiamo detto “sì”, anche voi potete, dovete, dire il vostro “sì”. Non fate aspettare il Signore!
E concludo comunicandovi con gioia che il prossimo 19 maggio, nella chiesa del Sacro Cuore a Caltanissetta, ordinerò diacono Silvio Esposto, della comunità del Diaconato permanente e il 29 giugno, in Cattedrale, ordinerò presbitero il diacono Vincenzo Valenza di Mussomeli. Ringraziamo il Signore per questi doni che Egli fa a questa Chiesa che tanto ama. Sia lodato Gesù Cristo!