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La straordinarietà dell’ordinario

24-12-2011 00:00

Diocesi di Caltanissetta

omelie,

La straordinarietà dell’ordinario

La straordinarietà dell’ordinario Notte di NataleCattedrale - Cattedrale, 24 dicembre 2011 1.  In un inverno di valori Ogni bimbo che nasce è segno ch

La straordinarietà dell’ordinario

 

Notte di Natale

Cattedrale - Cattedrale, 24 dicembre 2011

 

1.  In un inverno di valori

 

Ogni bimbo che nasce è segno che Dio non si è stancato di questo mondo e continua a schiudere il suo cuore al sorriso e a preparare una nuova primavera nella storia. Noi stiamo vivendo tempi difficili, ma non più pesanti e gravi di quelli che ci sono stati nei momenti di grandi cambiamenti della storia e della società. Già nel 1900 Chesterton diceva: «Il mondo è stanco e disfatto». È passato più di un secolo e anche a noi viene spontaneo dire che oggi il mondo è stanco e disfatto, stanco di prospettive che non vede, di un lavoro che viene sempre meno, disfatto per il gioco dei potenti che tengono in mano l'economia del mondo, disfatto perché, come ha detto Papa Benedetto XVI, la crisi economica che stiamo vivendo testimonia una crisi ben più grave, che è la crisi morale. Ma non possiamo disperare in questa notte in cui celebriamo quella nascita che ha spaccato in due la storia, segnandola da allora in avanti Cristo e dopo Cristo. Noi che abbiamo la fede non possiamo, né dobbiamo disperare. Quello che stiamo vivendo è una sorta di inverno, non solo atmosferico, climatico, ma anche un inverno di valori.

 

Eppure, carissimi figlioli, l'inverno è il tempo che custodisce le grandi speranze, il tempo in cui  nulla si vede sulla terra, mentre il seme, senza frastuono, lentamente va morendo, ma nel suo marcire celebra già il suo natale, cioè la sua rinascita. Mentre, allora, noi assistiamo a questa sorta di sfaldamento dei valori umani, morali, sociali e religiosi, c'è già una nuova vita che si prepara a nascere. La vita che nasce non suona le trombe, non intona marce imperiali, come il filo d’erba si fa strada nel silenzio e, pur fra la neve e la pioggia, c'è una primavera che si va preparando, una primavera che ha il sapore di un bimbo che nasce per noi, perché noi siamo amati dal Signore, che non ci abbandona, non ci lascia avvolgere dalle tenebre, anche quando permette che attraversiamo il tunnel delle oscurità.

 

2.  La tenda di Dio

 

Oggi siamo chiamati ancora ad alzare lo sguardo per contemplare Colui che era presso Dio e che era Dio, a contemplare il Verbo eterno per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza il quale nulla esiste. Giovanni, con un verbo greco stranissimo e da lui coniato (skenoo), ci dice che quel Logos, quella Parola, quella ragion d’essere si è fatta carne, è fra noi, ha assunto una “tenda d’uomo”. Il verbo skenoo ha le stesse consonanti della parola ebraica shekinah, cioè la tenda di Dio che accompagnava il popolo  nel pellegrinaggio lungo i quarant’anni vissuti nel deserto, quella tenda che custodiva le “Dieci Parole” e un po’ manna, segno della provvidenza divina.

 

Quella tenda, compagnia di Dio fra gli uomini, quella tenda della Parola e dell’Eucaristia e del potere che si fa servizio è Gesù Cristo: è Lui ormai il tabernacolo di Dio fra noi. Ma c’è di più: ciascuno di noi, in forza di quella divina incarnazione, è il tabernacolo di Dio. Allora non dobbiamo cercare fuori di noi quello che già pulsa dentro di noi e spinge il velo della nostra anima perché vuole vivere in noi. Noi siamo abitati dalla shekinah, dalla “presenza” di Dio! Ecco perché abbiamo davvero motivo di gioire: l’Eterno si sposa con la nostra finitudine, Dio non può fare più a meno di noi perché noi non possiamo più trovare il senso dell’esistere senza Dio. E questo il senso del segno muto del Bimbo che nasce in una grotta, fra fieno, paglia e animali, del Dio-Bimbo che nasce nell’ordinarietà.

 

3.  Un senso “altro”

 

Celebrare il Natale significa per noi dare un senso “altro” alla nostra quotidianità. Oggi, i grandi valori sembrano mete assurde, irraggiungibili, la disonestà, la mafia, l'illegalità, si infiltrano, a macchia d'olio, nel sottobosco della nostra città. In questo Natale ci viene chiesto di essere onesti e di compiere ciascuno il proprio dovere. Non è un eroe quello che lavora otto ore al giorno e presta il suo servizio alla società, sta facendo solo il suo dovere ed è dovere di tutti svolgere il proprio compito come un servizio dovuto e non come un’elemosina elargita creando debitori. Ogni cittadino, ogni uomo, deve compiere il proprio dovere. Se i padri compissero il proprio dovere di stare vicino alla moglie e ai figli, se le mamme compissero il loro dovere di seguire i figli, di accompagnare il proprio sposo, se ciascuno compisse il proprio dovere, radicato nel sì degli impegni assunti, nel sì pronunciato di fronte alla vita, allora il mondo cambierebbe volto.

 

Compiere il proprio dovere deve diventare la normalità, non la straordinarietà. Il Natale è l'evento di una nascita che accade nella normalità, eppure ha dentro qualcosa di straordinario. Mentre l'imperatore decreta il censimento, pensando di muovere come pedine tutti i cittadini da lui dipendenti, mentre i re proclamano i loro editti, questo Bimbo che nasce fa paura agli Erode di tutti i tempi, mette in movimento la storia, sconvolge il cielo e gli angeli scendono a portare il vangelo: uomini, amati siete da Dio. La presenza grave di Dio, la sua gloria, sarà ora il manto della pace nella terra, che è affidato alla custodia e alla responsabilità di ciascuno di noi.

 

Questo Bimbo che nasce muove anche i pastori avvolti nella notte, schiodandoli dalla loro solitudine e mettendoli in cammino verso la luce, muoverà anche gli intellettuali del lontano oriente, farà tremare Gerusalemme, eppure non ha nulla di straordinario a guardarlo, è solo un bimbo che nasce.

 

Perché non permettiamo a Cristo Gesù di nascere ancora nel nostro cuore? Sconvolgerebbe i cieli della nostra anima, stenderebbe un velo di pace nel nostro cuore e nelle nostre famiglie. Sì, Dio non si stanca di generare il suo Figlio nella carne e noi possiamo celebrare mille volte il Natale, ma questa rimarrà una celebrazione vuota di senso finché non permettiamo a questo bimbo di nascere in noi. Perché rimanere avvolti nella notte? Perché non andiamo anche noi, come i pastori, incontro alla vita che nasce? Perché non provare il brivido della gioia dinanzi ad un Dio che a noi si dà in questo Bimbo?

 

4.  Nella mangiatoia dell’anima

 

Non c'era posto per loro nel katalyma, dice Luca, e questo termine ritornerà per indicare il cenacolo, il luogo dell'ultima cena, perché indica sia l'ostello che la sala superiore, quella riservata agli ospiti di eccezione: Gesù che non ha trovato posto nel katalyma alla sua nascita, sarà ospitato poi nell’altro katalyma, nel cenacolo, dove si darà come pane ai suoi discepoli. Questo katalyma vuole essere il nostro cuore. Non preoccupatevi, carissimi figlioli, se c'è un po' di paglia, di disordine, se  il nostro cuore puzza forse un po' di peccato, non abbiate paura, aprite le porte a Cristo Gesù, offrite la vostra anima come sua mangiatoia, perché lui non ama adagiarsi nelle case dei potenti o in cuscini ricamati d'oro, preferisce la paglia della nostra misera, povera, umanità. E da lì vuole splendere, come vangelo, come notizia buona, che tutti noi dobbiamo portare, lodando Dio come hanno fatto gli apostoli.

 

5.  Segni di luce

 

E, in questo tempo difficile, che può portare tanti allo scoraggiamento, già segni di luce si diffondono dalla nostra stessa città: alcuni amici di Ragusa hanno regalato a me e alla Caritas, uno studio dentistico e noi, poveri, ne abbiamo fatto dono a chi è più povero di noi, l'abbiamo donato alla Diocesi di Sape in Albania. Ma Dio non si lascia vincere in generosità e allora altri miei amici, ancora di Ragusa, mi hanno dato un altro studio dentistico, mai usato, nuovo, che abbiamo messo nella cittadella della Carità, qui a S. Giovanni e, dalla fine di gennaio, inizieremo, grazie a sei dentisti che hanno dato la loro disponibilità, un servizio dentistico per i bambini poveri della nostra città.

 

Questo è il Natale, ed è Natale anche per quanto riguarda il mondo del lavoro, il mondo della cooperazione, perché il Consiglio pastorale diocesano, con la Caritas, la Consulta diocesana delle Aggregazioni laicali e la Real Maestranza, si sono messi insieme ed hanno firmato dal notaio Pilato un consorzio, una società cooperativa chiamata PARM: Pregiato Artigianato Real Maestranza, per cercare di recuperare il centro storico, di ricostruire le case e le botteghe, dare lavoro agli altri, riprendere le antiche attività artigianali. In questo modo, non solo possiamo far rivivere la nostra città, ma possiamo anche assicurare prospettive di lavoro per i nostri ragazzi. La nostra città può diventare punto d'attrazione perché è al centro della Sicilia, piuttosto che andare fuori da Caltanissetta, dobbiamo portare altri a Caltanissetta. E allora, facendo ciascuno il proprio dovere, assumendo ciascuno le proprie responsabilità, stringendoci insieme, che è la forza che dà vittoria, noi potremo davvero, come il filo d'erba, spuntare dal grembo della terra e far germogliare ancora la speranza.

 

Abbiamo veramente motivo di lodare il Signore per tutto questo e perché Lui guarda con sguardo di benevolenza questa sua piccola, grande Chiesa di Caltanissetta. Il 19 dicembre scorso il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto un altro grande dono non solo alla nostra Diocesi ma alla Chiesa universale, firmando il nullaosta che dichiara Venerabile Marianna Amico Roxas. Il prossimo 13 gennaio verrà in questa nostra chiesa Cattedrale il Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, a consegnarci solennemente il decreto. Marianna Amico Roxas è così la prima Venerabile della nostra Diocesi. La nostra Chiesa riparte da una donna, come la storia dell’umanità riparte da una donna: Maria di Nazareth.

 

Questo anno si chiude all’insegna della speranza, apriamo perciò il tabernacolo della nostra anima alla presenza del Dio Bambino, ospitiamo il Bambino che ci viene incontro nel volto dei fratelli e delle sorelle. Diceva Angelo Silesius: «Dio può nascere mille volte, ma finché tu non gli permetterai di nascere nel tuo cuore non sarà Natale, né per te, né per Lui». Allora auguriamo a Dio Buon Natale, accogliendolo nel nostro cuore e dicendo ancora una volta pieni di speranza: “Benvenuto, Dio Bambino!”.