Il tutto dell’uomo per il tutto di Dio
Ordinazione Presbiterale di don Vincenzo Valenza
Caltanissetta - Cattedrale, 29 giugno 2011
1. Uomini del sì
Tutta la Chiesa nissena è in festa, tutto il santo popolo di Dio della nostra Diocesi esulta per il dono di questo novello sacerdote, don Vincenzo che il Signore, per sua grazia e per quei misteriosi sentieri noti a lui soltanto, ha chiamato, ha formato attraverso i superiori del Seminario, i docenti, i sacerdoti, il popolo di Dio ed oggi viene consegnato alla nostra Chiesa per essere di Cristo Gesù Buon Pastore icona e ripresentazione sacramentale, oltre che rappresentazione sacramentale.
La nostra Chiesa è in festa perché tanti sacerdoti ricordiamo oggi l’anniversario della nostra ordinazione, di quel giorno in cui abbiamo detto sì al Signore, quel giorno in cui abbiamo messo le nostre mani nelle mani del Vescovo promettendo la nostra obbedienza. E noi siamo chiamati ad essere uomini di una sola parola, uomini del sì. Non esiste altra condizione nella nostra donazione. Da quel giorno in cui il Vescovo, per l'imposizione delle mani e, dunque, invocando lo Spirito Santo e attraverso la preghiera di consacrazione, ci ha costituti sacerdoti in eterno, nessun giorno è senza Cristo e non c’è nessun attimo in cui non siamo sacerdoti.
Ma la nostra Chiesa si unisce oggi anche alla Chiesa universale e in modo particolare al Santo Padre Benedetto XVI, che oggi ricorda il 60° anniversario della sua ordinazione presbiterale. Abbiamo pregato in tutte le chiese della nostra Diocesi, offrendo diverse ore di adorazione, per il Santo Padre. Lui mi ha già doppiato nel cammino sacerdotale, la cosa importante però non è arrivare primi, ma arrivare santi. E dunque, mentre si innalza al cielo la nostra preghiera per il Papa, si innalzi dalla chiesa di Dio che è in Caltanissetta la preghiera per il Vescovo, sempre bisognoso di conversione e di radicamento in Cristo Gesù, perché la chiesa non ha bisogno né di intellettuali, né di teologi, né di bravi organizzatori, né di fondatori di movimenti: ha bisogno di Cristo Gesù nell'icona sacramentale del sacerdote.
Perciò, Vincenzo, sii un prete immerso fino al collo nella pastorale, nella cura delle anime. Un prete viene costituito in favore degli uomini. È impensabile un sacerdote che non viva il dono della sua vita al Signore, dunque il suo sì, nel sì di ogni giorno alla salvezza delle anime, alla luce del vangelo da portare nelle anime, nel cuore dei giovani, nelle famiglie, nelle comunità parrocchiali. Il sacerdote senza la parrocchia già fatica a vivere in pienezza il suo ministero, ma il sacerdote senza un'azione diretta, responsabile, piena di dedizione al popolo di Dio o a quella porzione di popolo di Dio che il Vescovo gli affida, senza questa relazione vitale, pastorale, rischia di perdere la sua ragione d’essere. Preso di tra gli uomini, viene costituito in favore degli uomini e deve saper stare in mezzo al popolo di Dio.
2. Uomini delle relazioni autentiche
Nella Pastores dabo vobis, il beato Giovanni Paolo II definì il sacerdote «uomo delle relazioni autentiche», l'uomo cioè che offre a Dio la propria umanità perché la divinità non si lascia incontrare se non attraverso l'umanità. Per la logica stessa dell'incarnazione, Dio si è fatto vedere, toccare, abbracciare, contemplare, ascoltare, attraverso l'umanità di Cristo Gesù che ha consolato gli afflitti, ha guarito gli ammalati, ha risanato le piaghe interiori dei peccatori, ha offerto con insistenza la luce della Parola, ha formulato un nuovo codice di alleanza nel discorso della montagna, in quell'itinerario di santità che si fa amore al nemico accolto come fratello in Cristo Gesù, anche se rimane da parte sua nemico. Il prete non ha nemici, ha solo fratelli e sorelle. Il discorso della montagna è duro, ma è la via che rende credibile il nostro ministero e il nostro essere discepoli di Gesù secondo questa nuova formulazione dell'alleanza. Solo così il Signore rimarrà sempre in te, Vincenzo, e tu sarai radicato in Lui, accogliendo le potature di quei tralci secchi che a volte possono crescere nella tua vita, quei tralci di resistenza alla logica della conversione, quei tralci di indurimento del tuo cuore, dei tratti del tuo volto, quando c'è invece da manifestare serenità, accoglienza, quando c’è da essere il sorriso di Dio che, attraverso la tua calda umanità, vuole ancora, come ha scritto san Paolo nella lettera ai Tessalonicesi, dirsi padre anzi madre «e per voi avrei desiderato dare la mia stessa vita».
3. Sapersi nulla
Oggi celebriamo la solennità dei santi Pietro e Paolo, due colonne della Chiesa. Pietro con il suo orgoglio, la sua pretesa di essere sempre il primo, con l'arroganza anche e la pretesa di conoscere il Signore tanto da voler indicare a Cristo Gesù le vie gli il sentiero della croce; Pietro che, nella sua fragilità, però, vuole imitare il Signore, vuole camminare sulle acque del mare e del caos come Cristo Gesù, ma affonda.
Non avere paura, Vincenzo, di affondare nelle acque del tuo peccato, affonderai molte, molte, molte volte. Non perdere tempo aggrovigliato dal tuo orgoglio, sappi, nell'umiliazione del bene che non sei riuscito ad essere e a fare, chiedere perdono a Dio e ai fratelli e ricomincia perché ciò che vale non è non cadere, è impossibile per noi uomini e donne non cadere, ma l’importante è avere il coraggio di rialzarsi dopo ogni caduta. Così, sappi gridare al Signore come ha fatto Pietro: «Signore, salvami», tirami fuori dai miei smarrimenti. Finché questa preghiera sarà fervida nel tuo cuore, allora sarai sacerdote secondo il cuore di Cristo. Ma quando per la tua ostinazione non riuscirai più a formulare questa preghiera, Kyrie eleison, «Signore, salvami», allora tutto ciò che tu potrai fare, tutto ciò che potrai dire perderà valore, saranno chiacchiere tue, saranno bravure tue, ma non dirai Dio, non darai Dio.
Pietro, pur nei suoi rinnegamenti e nei suoi tradimenti, ha seguito il Signore, era lì nel cortile aveva rinnegato il Signore e incrocia lo sguardo di Gesù e in quello sguardo, ancora una volta, scopre di non essere lui a gestire la sua vita e il suo discepolato, ma il Signore. Scopre che lui non ha dato niente al Signore, se non i suoi tradimenti, mentre Gesù sta andando a dare la vita per lui, per Giuda, per tutti quelli che, presi dalla paura e dalla vigliaccheria, lo hanno lasciato solo.
Hai sognato per tanti anni questo giorno, hai voluto fare, con il dono della tua vita, quello che il giovane ricco non ha saputo fare di fronte alla chiamata di Gesù, hai sentito i suoi occhi nei tuoi occhi, la sua parola nel tuo cuore e hai lasciato tutto per seguirlo. Volevi anche far contento tuo papà, tua mamma, tua sorella, per il dono di un figlio che essi stessi hanno accettato di offrire in questo olocausto d'amore che è il sacerdozio. E oggi tuo papà dal cielo gioisce con te, per te, unito a te, alla tua mamma e a tua sorella per questa oblazione della tua vita. Questa sera tu dai tutto di te, non riprendere nulla di te, lascia che il Signore ti scarnifichi e ti spogli fino a quell'osso sul quale Lui vuole adagiarsi come alla sua amatissima croce.
«Ma voi chi dite che io sia?». Vincenzo, non è questo il giorno dei giorni che tu aspettavi, non è il sacerdozio il tuo giorno, è Dio. Oggi Lui traccia con te la tua strada per arrivare a lui e non ci devi arrivare da solo, ma con uno stuolo d'anime, ci devi arrivare portando avanti uomini e donne, famiglie e anziani, poveri soprattutto, e presentandoli al Signore. Saranno loro a schiuderti le porte dell'incontro con Cristo nel suo regno perché Dio è l'ideale della tua vita, Dio è l'ideale della vita di un prete, nessun altro e nient'altro. “Per te, chi sono io?” ti chiede il Signore. E se riesci a formulare la risposta che il tuo cuore, attraverso il filtro della mente, fa giungere alle tue labbra, sappi che non è né la carne, né il sangue, non è né la tua intelligenza, né la tua competenza che ti fa formulare il tuo essere risposta a Gesù, ma è il Padre suo che te lo ha rivelato. Allora, sappi mantenere nel tuo ministero il filo diretto con lo Spirito Santo.
4. Irradiazione dell’amore di Dio
In questo anno ho avuto modo di apprezzare le tue omelie nella messa del giovedì nella mia cappella e ho visto come sei attento alla Parola di Dio. La tua vocazione nasce da un'aggregazione di fedeli che fanno della Parola di Dio la centralità del loro cammino di fede, dunque, è dentro di te questo colloquiare del tuo cuore con la divina Parola e hai saputo spezzare la Parola con sublimità di linguaggio e con teologica competenza. Ma tante volte ho richiamato il tuo cuore, ho detto che il popolo di Dio ha bisogno di sentire il palpito del tuo cuore, la vibrazione della tua anima mentre spezzi la Parola di Dio, perché questo è sì un tempo in cui i maestri sono indispensabili e ci vogliono maestri competenti, sapienti e illuminati, ma ancor più è necessario che i maestri siano davvero testimoni. E un'ultima consegna vorrei fare a te e ai nostri amatissimi presbiteri. Gesù dice a Pietro: «Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato in cielo e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nel cielo». Cosa vuol dire? Sono tante le interpretazioni che abbiamo ascoltato, che possiamo dare, ma non dimentichiamo che Gesù è un ebreo e parla ad ebrei. Il verbo “legare” dagli ebrei è inteso nel senso di sacrificare. La prima volta questo verbo nella Bibbia viene usato a proposito del sacrificio di Isacco che gli ebrei chiamano akedà, “legatura”. Il legare, la legatura di Isacco in terra, non ha ritrovato riscontro in cielo, perché Dio dal cielo ha sciolto quell' akedà, ha sciolto quella legatura. Ma c'è una legatura che il cielo accoglie: l’unica, quella del figlio non risparmiato, del figlio sacrificato, “Dio non ha risparmiato il suo unico figlio ma lo ha dato per noi”. E mentre in terra Maria Santissima faceva il lutto per quell'akedà dell'amato figlio, anche il cielo faceva il lutto per l'akedà dell'amato figlio: «Guarderanno a colui che hanno trafitto». «Si farà il lutto come si fa il lutto per il figlio unigenito», il Padre ha fatto il lutto per il suo Figlio in cielo come la Madre ha fatto il lutto per il suo figlio in terra e in quel crocevia di dolore il cielo e la terra si sono baciati, incontrati, riconciliati.
Sii tu la legatura di Dio per gli uomini, il figlio non risparmiato per amore degli uomini, ma sii anche la legatura della terra per il cielo, sii l'offerta che dalla terra sale al cielo, sii l'ostia immolata nel coraggio di saperti abbreviare, di saper essere soltanto un piccolo sole nel Sole di Dio, una vittima d'amore nell'olocausto della redenzione. Possa sempre il Signore trovare posto in te per trasfigurarti in lui, possano sempre tutti i fedeli che ti incontreranno, che tu cercherai e incontrerai, trovare in te l'irradiazione della luce dell’amore di Dio. Solo così il tuo sacrificio nella santa Messa all'altare unirà in te la doppia akedà: l'akedà del cielo e l'akedà della terra, perché tu sarai in Cristo Gesù sacerdote in eterno.
Ed infine, Vincenzo, tu oggi entri nella famiglia di questo santo presbiterio che è nella nostra Diocesi e, dunque, entrando in questa famiglia, lasci la tua famiglia, sarà questa ora la tua famiglia. Sii lievito di rigenerazione, fermento di comunione, luce di fraternità nel vangelo di Cristo Gesù per il nostro presbiterio che ti ha accolto come un fratello, un figlio ed anche un padre. E così sia!