UN NUOVO INIZIO
Santa Messa nel V anniversario di ordinazione episcopale
Cattedrale, 27 settembre 2008
Carissimi presbiteri e diaconi, care religiose e religiosi, scuola di preghiera e di servizio, gentili Autorità tutte che avete voluto esprimere amicizia e cordiale affetto verso il Vescovo con la vostra presenza, figlioli tutti amati nel Signore, è davvero con cuore commosso che mi rivolgo a voi, in questa chiesa Cattedrale gremita come cinque anni fa. Allora, dopo il lungo e sapiente ministero episcopale del compianto Mons. Alfredo Maria Garsia, aspettavate questo pastore, curiosi di conoscerlo. Questa sera mi sembra davvero come fosse ieri, eppure sono passati cinque anni; adesso ci conosciamo meglio e solo ora possiamo dire di poter cominciare a camminare insieme.
1. Ricordo e gratitudine
Cinque anni fa ho voluto che il portone della Cattedrale rimanesse aperto sulla piazza volendo indicare la continuità tra fra il tempio e la strada, fra la casa del Signore e la piazza. Questi temi sono tornati nuovamente nella mia Lettera Pastorale su S. Paolo e in questi giorni di assemblea diocesana li abbiamo più volte esaminati. Cinque anni, una memoria ricca di sottilissime e straordinarie trame di Dio nella mia vita, tessute mediante i miei carissimi sacerdoti, i diaconi, le religiose, tutti voi, uno per uno. Una grazia da me immeritata e a volte non compresa. Per questo lodo il Signore perchè nonostante tutto si è sempre chinato con misericordia verso di me, costellando il mio sentiero di tante luci vicine e amiche, luci costituite da ciascuno di voi con la vostra peculiarità, la vostra storia, la vostra vicenda; ognuno di voi per me è stato ed è sempre più il raccontarsi di Dio nella mia vita.
Oggi nella preghiera facevo memoria di questi cinque anni e pensavo alle persone che allora c’erano e che ora sono nella casa del Padre, a cominciare dal servo di Dio Giovanni Paolo II che mi aveva eletto e nominato Vescovo di Caltanissetta con sua specifica intenzione. Allora non comprendevo, oggi capisco. Agli occhi del pontefice lo considerai un errore ma lui mi incoraggiò confermando il suo proposito. La vostra presenza, la vostra cordiale, affettuosa vicinanza e in particolare quella dei miei preti, testimonia che forse il Papa aveva ragione, ed oggi dalla finestra del cielo certamente vigila su questa Chiesa che ha visitato, ha conosciuto e ha voluto amare anche attraverso la mia persona. Penso anche ai Vescovi che non sono più: penso a Mons. Alfredo Maria Garsia, e lo ricordo quella sera con le sue commosse parole ma ricordo in modo particolare una consegna, che fra le righe del suo dire ha voluto farmi. Ha detto: “Ti accogliamo non solo come il novello Pastore di questa Chiesa, ma ti accogliamo come l’ottavo Vescovo di questa Diocesi”. In questo modo, lui ha voluto davvero consegnare questa traditio ecclesiae, ha voluto mettermi subito nella scia di una tradizione ricchissima, una tradizione di santità; mi ha immesso entro questa tessitura della storia della Chiesa di Caltanissetta che lui ha tanto amato, conosciuto, apprezzato e fatto crescere. Non è più fra noi il carissimo Card. Salvatore Pappalardo, che quella sera mi ha imposto le mani e come dono mi ha lasciato l’anello che porto anche questa sera, quello della sua consacrazione episcopale. Non è più tra noi un carissimo amico, che in questi anni ho imparato sempre più ad accogliere e amare, come fratello e come maestro, il compianto Mons. Cataldo Naro. Un papa e tre vescovi di quella sera non ci sono più, sono in cielo e celebrano, certamente, con noi questa liturgia insieme a tutti i sacerdoti che in questi anni hanno raggiunto la casa del Padre.
Devo solo esprimere gratitudine al Signore e ancora di più rispetto a cinque anni fa, ora che meglio e più in profondità vi conosco, sento di essere debitore verso tutti voi del vostro affetto, del vostro amore, della vostra testimonianza di santità; mi sento in debito perchè avete fatto del vostro cuore una casa ospitale per me; vi sono debitore anche della vostra misericordia e del vostro perdono di cui ho sempre, profondamente bisogno. Devo ringraziare con tutto il cuore, innanzitutto i miei sacerdoti, per l’esempio di vita che mi hanno dato in questi cinque anni, per lo zelo, la fede, la passione per questa Chiesa. Devo ringraziare le trame nascoste ma forti, di quelle anime consacrate, della vita religiosa o nelle vicende del mondo, ricamatrici di grazia nel tessuto di questa Chiesa. Grazie ai bambini che ad ogni incontro, in ogni evento, in ogni momento mi ricordano la bellezza di doversi fare come loro, la bellezza della meraviglia, dello stupore del lasciarsi amare da Dio. Grazie ai giovani che in questi anni hanno accolto i miei sogni, le mie speranze, e sono sempre più carovana di Dio in questa Chiesa. Devo ringraziare le famiglie, pilastro portante della società e della Diocesi come dell’intera comunità ecclesiale, per le fatiche che fanno, per l’amore che mostrano verso i loro figli, per il coraggio di saper sempre ricominciare. Grazie agli ammalati, a tutti quelli che ho incontrato e visitato; sono stati per me, insieme ai tanti poveri, il sacramento della sollecitudine di Dio. Grazie tutte le autorità, per il dialogo e l’amicizia, per il rispetto della diversità dei ruoli e anche per la pazienza di sopportarmi quando ho dovuto farmi voce dei poveri. Ringrazio in modo particolare il Sig, Sindaco, il dott. Salvatore Messana, per la splendida lettera che ha voluto farmi per venire. Tutto quello che dice, sig. Sindaco, è immeritato; lo dico e ne sono cosciente ma l’ho assunto con responsabilità e impegno per i prossimi cinque anni. Grazie.
2. Negativi ma obbedienti
Vorrei ora soffermarmi sulla Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato. Il filo conduttore che passa attraverso le tre letture è il pentimento; questo può essere il coraggio di credere alla misericordia di Dio, ma anche la forza di ricredersi rispetto agli errori commessi; il pentimento è anche l’abisso di libertà e dunque lo spazio di liberazione; esso è conversione, ritorno a Dio ma anche ritrovamento di se stessi. Ezechiele ci ha detto in fondo che convertirsi significa dare vita a se stessi, lasciando vivere Dio in sé, per dirla con S. Paolo. Mi ha molto colpito la parabola di Gesù che parla dei due figli: quello che dice sì al padre e poi non obbedisce, quello che dice no e, al contrario del primo, obbedisce. Voi sapete, posso dirlo davvero con le parole di Paolo, come mi sono comportato davanti a voi, sapete che non ho cercato mai incensi né plausi, né compromessi né riconoscimenti. In questi cinque anni in mezzo a voi ho servito il Signore, ho cercato di essere e di fare la verità, quella che io vedevo alla luce del Signore. Ho rigettato e non riesco ad accogliere questo mio limite, quei tanti figli del sì, che incensano il padre, che si mostrano apparentemente ossequiosi e riverenti e poi sono dei disobbedienti nel loro cuore. Io amo i figli del no, quelli che sanno anche entrare in conflitto con il loro padre, e accogliendo il conflitto come dimensione creativa della relazione, sanno carpire le contraddizioni in se stessi, sanno cogliere le contraddizioni della loro promessa non mantenuta. I figli del no con libertà accolgono di essere obbedienti dentro, perchè risanati nell’orgoglio e nella superbia.
Come vorrei che tutti voi, i miei più stretti collaboratori, i presbiteri, i diaconi, tutti voi, foste per me i figli del no, del conflitto, della libertà raggiunta perchè guadagnata nella conversione interiore. Come vorrei essere sempre per voi un figlio del no, un figlio capace di ricredersi e ravvedersi, di convertirsi e obbedire. Sì, perchè io e voi dobbiamo obbedienza alla Parola del Signore, io e voi dobbiamo obbedienza a Cristo Gesù se vogliamo che per noi vivere sia Cristo e la morte un guadagno. Se vogliamo davvero considerare spazzatura tutte quelle cose che per il mondo sono straordinarie e puntare decisi alla santità, dobbiamo lasciarci conformare da Dio nel Figlio suo, Cristo Gesù. E allora ecco la via che ci è data, dal pentimento allo svuotamento: farsi nulla perchè tutto rifulga nella nostra vita, amare sapendo scomparire, essere capaci di mettersi in discussione, di cercare insieme la verità; insomma, farsi tutto a tutti pur di guadagnare tutti a Cristo Gesù. Uno svuotamento come perdita per puro amore e null’altro. Dobbiamo sapere la via di Gesù per assumere il suo modo di pensare, di sentire e di amare. Dobbiamo lasciarci umiliare dalla mano potente di Dio, dal suo amore che ci costringe a chiedere e a donare perdono; che ci obbliga a riconciliarci col fratello prima di accostarci all’altare; che ci impone di vederlo lì dove il nostro orgoglio, la nostra borghese fede non vuole vederlo, ovvero nel povero, nell’emarginato, nell’uomo della strada.
Vi chiedo dunque di pregare per me, perchè vorrei poter dire con Paolo: «fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo», ma so di non poterlo ancora dire, troppo distante è il mio cuore da quello dell’Apostolo, troppo lontano è la mia anima per combaciare perfettamente con quella di Cristo Gesù. Mi affido alla misericordia del vostro perdono, alla bontà della vostra preghiera per me; mi affido anche alla vostra amicizia per costruire insieme questa Chiesa sui sentieri della gioia. Vedo un futuro radioso per la nostra Diocesi, perchè adesso so quanti santi ci sono in essa, perchè adesso conosco quanti semi di evangelico amore sono disseminati nelle fenditure delle nostre parrocchie, delle nostre case, delle nostre strade; vedo la possibilità di una grande primavera. Così come ho esordito nel mio discorso cinque anni fa, vorrei concludere con quella bellissima frase che Rilke scrive nelle sue Lettere ad un giovane poeta: «Non ti accorgi come tutto quanto accade è ancora e sempre un cominciamento?». Possiamo davvero permettere a Dio di cominciare con noi una nuova storia. Grazie! Sia lodato Gesù Cristo!